LICENZIAMENTO
PER GIUSTA CAUSA (MASSIME)
- In ipotesi di
licenziamento per giusta causa, i fatti addebitati devono rivestire il carattere
di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, e in particolare
dell'elemento di fiducia, che deve continuare a sussistere tra le parti; la
valutazione relativa alla sussistenza del conseguente impedimento alla prosecuzione
del rapporto deve essere operata con riferimento non già ai fatti astrattamente
considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità
del rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto
dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata oggettiva dei
fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità
dell'elemento intenzionale e ad ogni altro aspetto correlato alla specifica
connotazione del rapporto che su di esso possa incidere negativamente(nella
specie la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto sproporzionato
il licenziamento irrogato ad un lavoratore addetto all'esazione dei pedaggi
autostradali, che aveva trattenuto l'importo di lire 50.000 non ritirato come
resto da un automobilista in transito). Cass. 2 giugno 2000 n. 7394 Sez.lavoro.
- Il recesso dal
rapporto di apprendistato può avvenire o per giusta causa o per giustificato
motivo ex art. 3 della legge n. 604 del 1966, consistente in un notevole inadempimento
del lavoratore ai suoi obblighi contrattuali (cosiddetto giustificato motivo
soggettivo) oppure in ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione
del lavoro ed al regolare funzionamento di essa (cosiddetto giustificato motivo
oggettivo). Cass. 21 Luglio 2000 n. 9630 Sez. lavoro.
- Il giudice del
lavoro adito con impugnativa di licenziamento, ove pure comminato in base
agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale,
non è affatto obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato
di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente,
con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni
e qualificazioni degli stessi del tutto svincolate dall'esito del procedimento
penale; ed in ogni caso, poi, la valutazione della gravità del comportamento
del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento
per giusta causa, deve essere da quel giudice operata alla stregua della "ratio"
degli artt. 2119 c.c. e 1 della legge 15 luglio 1966 n. 604, e cioè tenendo
conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario
che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall'organizzazione
produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta
organizzazione, indipendentemente dal giudizio che nel medesimo fatto dovesse
darsi ai fini penali, sicchè non incorre in vizio di contraddittorietà la
sentenza che affermi la legittimità del recesso nonostante l'assoluzione del
lavoratore in sede penale per le medesime vicende addotte dal suo datore di
lavoro a giustificazione dell'immediata risoluzione del rapporto (nella specie,
la sentenza di merito, confermata dalla S.C., in relazione al licenziamento
per giusta causa intimato ad un lavoratore che aveva prestato dei soldi dietro
notevole interesse ad un collega di lavoro ed aveva proceduto poi a tutti
i conseguenti atti di recupero crediti, aveva ritenuto la gravità del comportamento
del dipendente, in quanto idoneo a turbare l'ordine della compagine aziendale,
distolta dai suoi necessari moduli di solidarietà fra compagni di lavoro e
di dedizione esclusiva all'attività di lavoro, indipendentemente dall'avvenuta
assoluzione del lavoratore dal reato di usura). Cass. 5 agosto 2000 n. 10315
Sez. Lav.
LICENZIAMENTO
INDIVIDUALE: OMESSA IMPUGNAZIONE NEL TERMINE DI DECADENZA FISSATO
La mancata impugnazione
del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del
datore di lavoro bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione
nel posto di lavoro e il risarcimento ai sensi dell’art. 18 della l. n. 300/1970.
Ne consegue che, nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, qualora si sia verificata
la decadenza dall’impugnazione è concesso al lavoratore di esperire la normale
azione risarcitoria in base ai principi generali che governano questa azione,
sempre che ne ricorrano (e siano dal lavoratore allegati) i relativi presupposti.
Nel caso di specie il lavoratore, con l’atto introduttivo del giudizio, non
aveva esercitato l’azione risarcitoria da fatto illecito produttivo di danno,
ma espressamente aveva voluto attivare la procedura di cui all’art. 6 della
L. 604/66 impugnando il licenziamento del quale contestava la legittimità e
richiedendo al giudice di applicare, in proprio favore, il citato art. 18 dello
statuto dei lavoratori; pertanto nella relativa sentenza, confermata dalla S.C.,
era stata esclusivamente dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione a causa
dell’accertata decadenza dall’esercizio del relativo diritto (Cass. Sez. lav.
02.03.99 n. 1753).